mercoledì 26 gennaio 2011


Il Paese dimenticato

Sono parole grigie, noiose e dimenticate nei giorni in cui politici e giornalisti
 studiano la pronuncia del cognome di Ruby (Karima El Mahroug) e
 l’etimologia dell’espressione bunga bunga”. Ma con una singolare 
coincidenza di tempi, il presidente della Repubblica,Giorgio Napolitano,
 e il Fondo monetario internazionale ricordano che le priorità per l’Italia
dovrebbero essere altre: debito, crescita, tasse, Efsf 
(acronimo ancora oscuro in Italia, ma decisivo, è il Fondo salva-Stati europeo).

Il Quirinale ricorda: “Tra tante difficoltà e tensioni è essenziale che ciascun 
soggetto istituzionale, economico e sociale faccia più che mai la sua parte, 
il suo dovere”. E l’obiettivo da raggiungere, per quanto arduo, 
è chiaro: la crescita. Dice Napolitano: “È imperativo per l’Italia andare al 
di là di questi limiti, forzare la crescita oltre queste previsioni che sono 
troppo inferiori alle nostre esigenze, all’esigenza di un rafforzamento 
della nostra collocazione nell’economia europea e ancor più mondiale”.

Le previsioni a cui fa riferimento il Colle, infatti, sono sempre meno
 ottimistiche. Ieri ci ha pensato il Fondo monetario internazionale
 a ricordarlo, con l’aggiornamento del suo rapporto sull’economia mondiale.
 “Nelle economie avanzate l’attività economica ha rallentato meno
 del previsto, ma la crescita resta contenuta, la disoccupazione è ancora alta”.
 E nel caso dell’Italia la novità è che la crescita prevista per il Pil nel 2011 sarà 
soltanto l’uno per cento, nel 2012 sarà l’1,3 per cento. Molto poco, 
quanto stimato dalle previsioni più fosche in circolazione in Italia 
(le ultime sono quelle del Centro studi di Confindustria).

Sembra un tecnicismo, ma è un messaggio fortemente politico: il Fmi chiede 
all’Europa di rafforzare urgentemente l’Efsf, cioè il Fondo salva Stati dell’Ue.
 Tradotto: anche l’Italia dovrà tirar fuori diversi miliardi da mettere da parte 
nell’ipotesi che fallisca la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda o la stessa Italia. 
Soldi che saranno sotto la gestione della Germania, primo contribuente al fondo, 
che in cambio dell’ombrello di protezione chiederà drastici risanamenti dei conti. 
E al confronto di ciò che queste richieste comporteranno, la manovra estiva da 
25 miliardi di euro sembrerà solo un antipasto. 
Il ministro del Tesoro Giulio Tremonti sta facendo il possibile per evitare 
che queste evoluzioni europee sfianchino l’economia italiana, 
ma si muove da solo.
 Il resto del governo è completamente immobile: sia sul fronte 
del risanamento (cioè la riorganizzazione della spesa pubblica che passa anche 
per il federalismo fiscale) sia sulle misure per la crescita, con la riforma fiscale 
dimenticata da mesi, le imprese abbandonate al loro destino di delocalizzazione 
o licenziamenti, per non parlare delle infrastrutture che non vanno mai oltre
 la posa della prima pietra. Un immobilismo tale che, quando Fabio Fazio 
ha chiesto a Emma Marcegaglia quale fosse la prima cosa che la 
Confindustria si aspettasse dal governo, lei non ha saputo bene cosa rispondere.

Che fine ha fatto la riforma fiscale
Tutti i soggetti economici del Paese chiedono che, come reazione alla crisi, 
ci sia una riforma del fisco. In un senso o nell’altro. La Cgil chiede 
una tassa patrimoniale e sgravi per il lavoro dipendente. 
Le imprese vogliono detassazioni della produttività 
(in parte sono state concesse), aspettano ancora la cancellazione dell’Irap 
o un qualsiasi altro intervento in loro favore. Del grande progetto annunciato 
dal ministro Giulio Tremonti a ottobre 2010 si sono perse le tracce.
 La base doveva essere il solito libro bianco del 1994
 (quando Berlusconi “scese in campo”) poi le parti sociali dovevano 
esprimersi e il governo recepire le indicazioni.
 Ma poco dopo è comparsa Ruby.
Spetterebbe al ministro dello Sviluppo Paolo…
Spetterebbe al ministro dello Sviluppo Paolo Romani preoccuparsi 
della cosiddetta “economia reale”. Al ministero ci sono 170 tavoli 
di crisi, alcuni dei quali che hanno avuto una certa visibilità e 
rilevanza politica nei mesi scorsi prima che il bunga bunga, 
la concussione e Ruby oscurassero tutto. C’è ancora il caso 
della Vinyls, l’impresa degli operai che da oltre un anno 
occupano L’Asinara come protesta per il blocco della 
produzione chimica in Sardegna (L’Isola dei Cassintegrati). 
C’è la Tirrenia, non ancora davvero privatizzata. 
C’è lo stabilimento Fiat di Termini Imerese, che a 
dicembre chiuderà definitivamente. Il ministro ha 
annunciato più volte liste di compratori che se lo 
contendevano ma non si è ancora arrivati a una soluzione.
 Il ministro Romani, però, fin dal suo insediamento non si è 
distratto un attimo nella gestione del passaggio 
dlla tv analogica a quella digitale, soprattutto per evitare 
che Sky trasmetta in chiaro sul digitale.
 E sta provando in ogni modo a bloccare l’unico 
concorrente di Mediaset nei contenuti a pagamento
 (di pochi giorni fa il nuovo ricorso al Consiglio di Stato).
La Cgil, poi, ha il sospetto che il miliardo di euro stanziato 
nella legge di Stabilità (la Finanziaria) per prorogare la cassa
 integrazione in deroga sia molto più virtuale che reale.
 Mentre sono molto concreti i soldi che continuano a uscire 
dalle casse ministeriali per sostenere aziende che sarebbero
 private come Telecom Italia (che beneficia di contratti di
 solidarietà concessi dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi
 e motivati, esplicitamente, con la necessità di ridurre i costi
 per aumentare il dividendo agli azionisti). Sempre Sacconi, 
poi, ha scelto di non rispondere alle questioni sollevate dalla 
Fiat di Sergio Marchionne, rifiutandosi di fare una legge 
in materia di rappresentanza (come si scelgono i rappresentanti 
sui luoghi di lavoro).
Di ogni riforma, anche quelle che ripristinano rigidità e protezioni
per i professionisti (come quelle a difesa degli avvocati), 
si sono perse le tracce. 

Europa e debito. Il rischio da 40 miliardi
Ci sono ancora poche settimane prima dei Consigli europei 
di febbraio e marzo, quando le nuove regole sul debito pubblico 
diventeranno operative, legate ai versamenti al fondo salva-Stati. 
In questo momento tutti i governi europei stanno cercando di 
tutelare il proprio interesse nazionale, per evitare di essere 
troppo penalizzati. 
Per l’Italia tutto il peso è sulle spalle del ministro del Tesoro 
Giulio Tremonti e del direttore generale Vittorio Grilli. 
Ma il governo, invece di sostenerli in una vicenda che 
rischia di costare all’italia fino a 40 miliardi (miliardi!) 
all’anno per tre anni, per avvicinare il debito al 60 per cento
 del Pil, mentre oggi è quasi al 120.


Silvio Berlusconi, invece che spendere il suo (residuo) peso 
diplomatico a sostegno di Tremonti e della linea italiana
 (meglio titoli di debito europei che salvataggi) costringe
il suo ministro a Bruxelles a dire, nel giorno in cui escono
 le intercettazioni sui festini di Arcore, che è “orgoglioso” 
di far parte del governo. Dopo aver perso tutte le partite 
europee per le nomine (dalla candidatura di Massimo D’Alema
 al ruolo di ministro degli Esteri Ue a quella di Mario Mauro
 per l’Europarlamento), la debolezza di questi mesi impedisce
 al governo di lavorare per l’obiettivo diplomatico più importante, 
quella per la presidenza della Bce. Nel 2012 scade il mandato 
di Jean-Claude Trichet. Se al suo posto arriverà 
il tedesco Axel Weber, l’Europa sarà tutta culturalmente tedesca,
 con le priorità di Berlino come unica linea. Per questo sarebbe
 nell’interesse dell’Italia sostenere la candidatura di Mario Draghi, 
governatore della Banca d’Italia. Ma Tremonti non lo ama e 
Berlusconi ha altro a cui pensare.




Il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2011


"...E lui si diverte"




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