venerdì 22 luglio 2011


Genova, 10 anni dopo

   
Sono passati dieci anni dal G8 di Genova. Non si tratta qui di fare del reducismo – oltre che patetico sarebbe anche prematuro – ma di provare a riflettere su alcuni processi che sono iniziati lì, o anche emersi per la prima volta lì, e che stanno venendo a maturazione solo ora. Il trentennio conservatore italiano iniziato con la creazione di TeleMilano58 nel 1978 è stato tante cose cattive, ma dentro di sé ha nutrito anche degli anticorpi, un “futuro migliore che cresce nel presente” come scrivemmo qui. L’eredità di Genova è anche questo e vale la pena iniziare una riflessione seguendo alcuni filoni.
1.Gli anni dopo Genova sono stati un periodo anche di conflitto tra “partiti” e “movimenti”. Il movimento no-global è stato parte di un ciclo di cui fanno parte, tra gli altri, quello contro la guerra in Iraq, il movimento sindacale per l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, i girotondi, gli studenti, i ricercatori sui tetti, i precari e, non ultimo, il movimento delle donne che si è riunito da poco a Siena. Abbiamo scritto qui di come la vittoria ai referendum sia stata “l’onda lunga” di Genova dove si mobilitarono nuovi pezzi di società ed emerse il tema dei beni comuni.
Non sempre questi “movimenti” si sono tradotti in rappresentanza politica, anche se spesso hanno mobilitato le persone e aumentato la partecipazione al voto di una parte di società. Sono stati, molto probabilmente, una grande scuola di politica: dopo il G8 di Genova, forse in molti l’hanno dimenticato, ci fu il Social Forum di Firenze in cui decine di migliaia di persone parteciparono a giornate intere di studio e “controinformazione” tra l’altro proprio sul tema dei beni comuni.
2. Il tema della violenza non è secondario nell’analizzare i fatti di dieci anni fa. La violenza delle forze dell’ordine prima di tutto, che a Genova tutto garantirono tranne che l’ordine. I giorni di luglio nel capoluogo ligure, e prima ancora le violenze a Napoli nel marzo di quell’anno, furono un po’ l’introduzione ad altre violenze e violazioni di diritti degli anni successivi: c’è un filo rosso che lega i torturatori di quei giorni con chi è, probabilmente, responsabile delle morti di Cucchi e Aldovrandi ed è l’idea che il rappresentante dello Stato può permettersi di giocare con il corpo di un cittadino perché tanto non ne dovrà rispondere. E’ difficile dire se fu più spaventoso l’assalto alla scuola Diaz o le torture della caserma di Bolzaneto dove, raccontarono alcuni, un ministro del governo Berlusconi di allora, apriva le porte delle stanze dove venivano compiute le violenze, osservava e poi richiudeva senza battere ciglio. Forse, per chi ci è stato, una delle immagini più paurose è quella di quelle ambulanze autogestite, in realtà delle macchine private con delle grandi croci rosse che portavano i feriti in posti dove potessero essere curati e non in ospedale perché lì arrivava la polizia e ti portava a Bolzaneto. Di alcune ragazze e di alcuni ragazzi non si seppe nulla per alcuni giorni e il ministro degli Esteri di allora, il “moderato” Ruggero, disse che forse erano andati al mare. Massimo D’Alema, commentando in parlamento l’assalto della polizia alla scuola Diaz, disse che Genova in quei giorni era assomigliata al Cile di Pinochet. Forse è vero che ci è stato ha assaporato per poche ore quella sospensione del diritto e dell’immunità personale che i siriani, gli egiziani, i tunisini e tanti altri popoli del mondo hanno respinto e stanno respingendo in questi mesi.
Ci fu, è vero, anche la violenza di una piccola minoranza che si mischiò ai manifestanti e che fu poi emarginata dal movimento italiano, tanto è vero che negli appuntamenti successivi, nonostante gli allarmi ripetuti, non ve ne fu traccia. E’ interessante vedere come la riflessione sul tema della violenza che fu avviata a partire da lì soprattutto dentro l’allora Rifondazione Comunista abbia fatto sì che oggi la nonviolenza sia considerata, da una parte considerevole della sinistra, non un semplice metodo ma un contenuto.
3. A Genova c’erano tante e tanti cattolici, e forse questo è uno dei particolari meno studiati. Il trentennio conservatore italiano ha visto sì la rivincita di molte correnti tradizionaliste e la nascita di nuovi fondamentalismi – dal consolidamento al potere di Comunione e Liberazione al successo dei neocatecumenali – ma anche il radicarsi di tante esperienze nate in seguito al Concilio Vaticano Secondo: credenti un po’ ribelli rispetto alle gerarchie ma sicuramente molto concreti e impegnati nell’economia del noi come nel movimento antimafia. Di tutte le anime del movimento no global questa è forse quella che ha avuto meno rappresentanza politica e, come si dice oggi, meno “narrazione”. Eppure questa parte non piccola dei credenti italiani ha un ruolo non secondario e la sinistra farebbe bene a rifletterci su invece che di inseguire un’idea di “mondo cattolico” da anni ’50 (ne scrivemmo più a lungo qui).
4. Sono tantissimi gli altri temi che nascono da una riflessione su quei giorni di dieci anni fa. Vale la pena, per esempio, accennare al tema della “controinformazione” e al rapporto causa-effetto tra la diffusione della Rete e la nascita del movimento no global. Fu poi un movimento di diverse generazioni insieme: non figli contro padri come sogna da anni la destra italiana, ma figli con padri, madri e molto spesso nonni e nonne. Infine, un’annotazione sulla sigla: oggi il “G8” è quasi archeologia politica e gli equilibri del mondo sono cambiati, quasi mai in meglio. Oggi un operaio italiano ha uno stipendio che è più vicino alle fabbriche di avanguardia cinesi che a quelle tedesche. Allo stesso tempo, milioni di brasiliani sono usciti dalla povertà e la vita per molti cinesi è migliore oggi di dieci anni fa. L’economia finanziaria, in genere, è molto più potente che nel secolo scorso. Ma tutto questo, davvero, merita un discorso a parte.
Ciò che vale la pena ricordare, ancora una volta oggi, è che il trentennio conservatore italiano è stato anche queste cose che si è provato ad accennare qui. Non perché si voglia “celebrare” le grandezze di un mitico movimento nel passato – in questo caso quello di Genova del 2001 che ebbe molti difetti – ma perché per pensare al futuro è anche necessario cogliere gli elementi positivi del presente su cui costruirlo.
Mattia Toaldo

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