lunedì 28 marzo 2011

In risposta all’articolo del 27/03/2011 su “La Repubblica” 
riguardo l’archivio segreto di Peppino Impastato


“L’intenzione, come si può immaginare, è quella di continuare a difendere e diffondere la memoria di Peppino e di Felicia, cercando di leggere anche nelle ultime pagine oscure di questa storia, cercando di capire perché all’omicidio di Peppino sia seguito un depistaggio istituzionale così come è successo per importanti nodi della storia degli ultimi decenni, come la strage di Piazza Fontana o quella della Stazione di Bologna e tanti altri, ecc. A tal proposito chiediamo con forza che si apra una nuova fase di inchiesta sul ruolo dei depistatori e le coperture istituzionali.” È cosi che abbiamo salutato questo nuovo anno in un messaggio diffuso nel mese di gennaio. Si trattava quasi di un appello fatto al vento, con il solo desiderio di non far calare mai l’attenzione su quanto di vergognoso e di terribile è seguito all’omicidio di Peppino, quell’ormai noto depistaggio fatto da mani sporche delle istituzioni che hanno restituito il suo corpo dilaniato all’opinione pubblica e alla sua cara madre Felicia come frutto dell’incidente sul lavoro di un terrorista e non come ciò che tragicamente rimaneva  di un uomo che fino all’estremo aveva deciso di far sua la lotta contro i soprusi e il potere politico-mafioso e per questo era stato brutalmente ucciso. Questa triste falsità non ha certo comportato l’espulsione o l’allontanamento dall’incarico per chi ha tentato di renderla l’unica interpretazione possibile della morte di Impastato omettendo, cancellando prove, facendo sparire documenti ecc. No, non è andata così. I depistatori sono stati promossi fino a coprire cariche istituzionali di un certo rilievo. E allora ci chiediamo.. perché? Ormai conosciamo gran parte della verità riguardo l’omicidio di Peppino, più di quanto sia mai stato concesso nel nostro paese, dove ogni passaggio chiave della nostra storia recente spesso sancito da attentati, omicidi eclatanti e stragi di Stato è stato adeguatamente coperto con una coltre di pece nera, per evitare che possa vedere la luce della consapevolezza. Sappiamo chi sono stati i mandanti mafiosi di Peppino, lo sappiamo dalla condanna a 30 anni di Vito Palazzolo e all’ergastolo di Gaetano Badalamenti. Lo sappiamo grazie alla nostra tenacia, che ci ha portato a continuare nell’isolamento, riuscendo a superare anche i più limitanti ostacoli, all’impareggiabile sostegno del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato di Umberto Santino e Anna Puglisi, alla controinformazione dei primi anni portata avanti dai compagni di Peppino e all’attento ed efficace lavoro della pm Francesca Imbergamo.  Conosciamo anche  i nomi e i cognomi dei depistatori, dei piccoli pesci, grazie al rapporto della Commissione Parlamentare Antimafia approvata nel 2001. Ma non ci basta. Vogliamo che sia comprovata la responsabilità penale e giudiziaria oltre che politica dei depistatori. Lo chiediamo simbolicamente, perché rischiamo seriamente di incorrere in un nulla di fatto per  la prescrizione del reato. Ringraziamo, quindi,  la procura di Palermo per aver aperto in merito al depistaggio un fascicolo di accertamenti preliminari. Troppi sono i rappresentanti delle istituzioni, quelli che ci dovrebbero tutelare, che si sono fatti beffa dei nostri diritti democratici e oggi ne godono i conseguenti privilegi. Vogliamo aggiungere alla storia certa altri piccoli ma significativi tasselli e, per questo, chiediamo che la parte dell’archivio di Peppino che non è ancora oggi a nostra disposizione ritorni a casa sua, a Casa Memoria Impastato, per far si che tutti possano consultarlo e capire.

La famiglia Impastato
Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato



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